Nel 2019 un giovane professore statunitense di cybersecurity law , Jeff Kosseff, ha pubblicato un saggio dal titolo suggestivo: “ The Twenty-Six Words that Created the Internet ” (“ Le ventisei parole che hanno creato Internet ” nota ).
Ebbene, le ventisei parole in questione – più che aver creato Internet in senso letterale nota –, hanno permesso ad alcuni soggetti di acquisire un enorme – prevedibile nota – potere sul web mediante la gestione delle piattaforme (degli Internet Service Providers ) che oggi conosciamo e (ci) siamo “costretti” ad usare quotidianamente soprattutto quali c.d. content provider (ossia come inserzionisti o creatori di contenuti digitali).
Ciò è accaduto facendo sì che nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet potesse considerarsi responsabile , come editore o autore, di una qualsiasi informazione inserita sul web da parte di terzi poiché, infatti, le citate ventisei parole lo hanno impedito prevedendo testualmente che: « No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider » nota .
Si tratta di un breve inciso che potrebbe dire poco. Eppure, se volessimo paragonare Internet ad un vasto sistema di strade cittadine, esso darebbe la metaforica possibilità ad ognuno di noi di percorrerle con mezzi veloci e gratuiti, senza alcun limite o specifica regola di modo resa realmente applicabile dalle istituzioni.
E' stato il legislatore statunitense degli anni 90 che ha voluto assicurare la possibilità di immettere sulle web platform contenuti di “ terze parti ” pressoché di ogni tipo nota senza attribuire responsabilità ai gestori delle stesse, i quali, perciò, hanno avuto gioco facile a consolidare in pochi anni – ossia dal 1993 al 2004 circa – l’intrapresa colonizzazione della c.d. “ Infosfera ” nota (o spazio cibernetico), sino a diventarne i percepiti “dominanti padroni”.
Nello specifico è la “ Sezione 230 ” del Titolo 47 dello “ United States Communications Decency Act ” nota che, dal 1996, in omaggio alla libertà di parola e, quindi, di espressione del pensiero – quali principi “sacri” in nord America e, infatti, inseriti nel primo emendamento della Costituzione USA nota – ha deresponsabilizzato gli Internet service provider.
Gli USA si sono limitati a considerare l’ascesa del nuovo eco-sistema cibernetico quale opportunità generale, utile a tutti i consociati per esprimersi e comunicare in maggiore libertà: o almeno questa è stata la narrazione ufficiale che, astrattamente, è sembrata e potrebbe ad oggi apparire nobile, nonché da difendere con fermezza nota .
Del resto, risultò da subito arduo considerare le “ social web platforms nota ” al pari d'una testata giornalistica: il confronto è sembrato improponibile e, perciò, se l’editore di un qualsiasi giornale occidentale è rimasto responsabile per i contenuti presenti sulla sua testata giornalistica analogica o digitale, i gestori delle piattaforme web, da allora, non lo sarebbero stati pressoché mai, poiché da considerarsi meri distributori di contenuti immessi da altri .
Affatto “poca cosa” venne, dunque, in tal modo, prevista: soprattutto in quei primi anni di “ colonizzazione selvaggia ” che ha permesso a pochi di acquisire una posizione dominante nell’ Infosfera ‘‘ virtuale’’, mantenerla e, oggi, come tenteremo di argomentare, proteggerla in un gioco di equilibrio geopolitico il cui baricentro poggia ancora sul Congresso federale degli Stati Uniti e sulle direzioni delle principali agenzie governative statunitensi, Pentagono compreso.
In tale scenario, come vedremo meglio in seguito, i dati personali assumono un valore cruciale .